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L'ULTIMA SPY STORY

pino

CORNA NATALIZE 2^ PARTE. La vetturetta sportiva rossa, era intestata ad un noto industrialotto locale ”. Una persona quasi seria che viveva con la moglie e due figli in una villa veneta di un paesetto della cintura urbana trevigiana. Era evidente che la Dea doveva essere un costoso svago per l’industrialotto il quale le aveva procurato oltre che l’auto, anche qualche appartamentino nel circondario dove, egli, si sarebbe recato di tanto in tanto a trastullarsi, lontano dai problemi degli scioperi degli operai, dei figli che non studiavano e dalla moglie che rompeva passando il tempo in giro per le boutiques del centro. A lui bastava che lei, per le rare occasioni, si rendesse libera da “altri impegni” per trastullarlo. Poi poteva fare quello che voleva. Ai fini della responsabilità civile, in caso d’incidenti stradali, sicuramente era stato stilato, presso qualche notaio, un atto di compravendita. Atto che poi non era stato poi registrato e che quindi, anche se il mezzo era interessato all’uomo, lo sgravava da ogni responsabilità civile diretta. La cliente, messa al corrente di tali fatti e che quindi per identificare la donna bisognava, ancora una volta seguire il di lei marito, riferiva che le uscite del marito erano un paio di volte alla settimana e, preferibilmente il mercoledì ed il venerdì . Gli feci la posta ed il venerdì sera, l’operazione si ripeteva anche se, questa volta, presso un altro locale. Quand’egli arrivò la di lei auto non era, ancora in loco per cui dopo aver parcheggiato, entrò nel locale sedendosi ad un tavolo d’angolo da dove teneva d’occhio la porta d’ingresso. La vetturetta arrivò dopo circa mezz’ora, rombante e scattante andando a parcheggiarsi sotto un grosso pino ammantato di neve caduta la notte precedente. Con mossa felina, scese dal mezzo e s’introdusse nell’antro raggiungendo l’uomo. Entrai anch’io e, modestamente, andai a sedermi all’altro lato della sala da dove li potevo tenere d’occhio. Anche questa volta,, a parte la faccia da rospo, era stupenda. Guardando quel corpo e quelle gambe così scoperte e così tornite, non potevi evitare che dentro lo stomaco ti gracidassero le rane, ti si intorcolassero le viscere. Cenarono più tosto in fretta e quando io ero ancora al secondo piatto, si alzarono. Pensavo che andassero al piano di sopra mentre, invece, salirono sull’auto di lui sparendo dalla circolazione e lasciandomi li come un bel pero. (Successivamente venni a sapere che si erano recati in un noto albergo sito su di una bellissima collina della zona. Incazzato come un trikeko restai a consumare la mia cenetta a base di verdure alla piastra e petto di pollo alla griglia. Poi, uscì dal locale dove, la spider rossa era sempre sotto il pino- Mi misi alla guida della mia auto e “ sfortunatamente, a causa delle suole delle scarpe bagnate e della neve che si era attaccata, facendo retromarcia, mi scivolava il piede dalla frizione percui andavo a cozzare col mio paraurti posteriore contro quello della fulva scattante procurandole una bella ammaccatura. Desolato rientravo nel locale ed avvisato ‘oste del fatto ed allo stesso lasciavo uno dei “MIEI.” Bigliettini da visita col “MIO” numero di telefono. Biglietto da che lasciai, anche, sul parabrezza della saetta bordeaux. (Alla mia cliente sarebbe costato un discreta cifra far riparare entrambe le auto). All’indomani, verso mezzogiorno, il mio cellulare squillò ed una voce, un po impastata dal sonno, mi domandava s’ero io quello che le aveva ammaccato l’auto. Alla mia risposta positiva, ci davamo un appuntamento per redigere la constatazione amichevole dell’incidente. Dire che la vocina al telefono era come il cinguettio d’un usignolo sarebbe stato come sminuire la celestiale sinfonia che le mie fosche orecchie udirono in quella telefonata. L’incontro, “Oh mare in tempesta”!! avvenne presso un bellissimo e lussuosissimo mo bar di Mogliano dove, lei, a piedi, arrivò verso le ore 17 entrando come una folgore in una notte plumbea e piovosa, illuminando il locale. Sotto la pelliccia di zibellino bianco, che all’industrialotto doveva essere costata una bella cifra, indossava un paio di pantaloni attillati da sci, di morbida lana e di un colore rosso sfavillante come la vetturetta. Pantaloni che portava infilati in un paio di stivaletti di cuoio nero con pelo d’agnello all’interno e con tacchi a spillo di almeno 12 centimetri sui quali ondeggiava come un sampam nel golfo del Bengala. Le feci cenno e lei venne a sedersi al mio tavolo. Sedendosi, m’inondò di una nuvola di costosissimo profumo che per un lunghissimo istante mi fece perdere la cognizione di tempo, luogo e spazio. Appoggiandosi con i gomiti sul tavolo, si sporse verso di me regalandomi la vista di due meravigliosi coni vulcanici che senza bisogno di alcun sostegno puntavano la stoffa del maglioncino bianco a con scollo a V, facendo emergere le punte dei capezzoli che apparivano due ,sode e nere, come due more su in una siepe delle “TRAZZERE” siciliane nel calore del mese di giugno. Parlò per ringraziarmi del fatto che civilmente avevo lasciato il mio biglietto da visita e non ero scappato via, dopo l’urto, lasciandole da pagare i danni. Celestiale, solamente ed esclusivamente celestiale. Di sicuro, in tutto questo tempo, non avevo mai guardato la sua faccia e, sicuramente non avevo alcun interesse a guardarla. Non vi era alcun bisogno di guardare la faccia. Vi era, ed in abbondanza, ben altro da guardare avendo la sensazione di trovarsi in paradiso. La sua voce, le sue movenze, il suo modo di fare, ti prendevano per lo stomaco, te lo attorcigliavano, e con la mente ti facevano vagare nell’infinità del tempo e dello spazio a bordo di una nuvola bianca illuminata in controluce dal roseo raggio di sole del tramonto. Adesso capivo il perché, nonostante la faccia fosse BRUTTA, aveva tanto successo con genere maschile. Era effettivamente una maliarda: Con la scusa di non fami aumentare l’assicurazione, gli chiesi se invece di fare la constatazione amichevole, gli rilascia una dichiarazione con la quale m’impegnavo a corrisponderle il costo delle riparazioni da eseguirsi presso un carrozziere di sua fiducia. Per rilasciarle la dichiarazione ci scambiammo i documenti di guida dai quali, ella risultava essere Janina Dolores Perez Machado nata a Saint Martin (Caribe) il 29/ febbraio 1985 e residente in Treviso via Isola di Mezzo 74015. Di professione faceva la ballerina presso i dancing della zona, specialmente quale cubista. Dopo un paio di giorni, la Dea mi telefonò chiedendomi TREMILA EURO per il danno che io le portai al solito bar di mogliano dove lei arrivo in auto e così io potei vedere che l’auto, comunque, non era stata ancora riparata. prelevò l’assegno che con un cinguettio, veleggiò via. La storia, per quanto mi riguardava, col fornire alla cliente le foto, il filmino ed il rapporto valido ai fini dell’attribuzione della colpa in caso di separazione/divorzio, finì li e di solito, non mi impiccio più di quello che i clienti fanno dopo la consegna del dossier ma, questa volta, incontrata la mia cliente per strada, non seppi astenermi dal domandarle com’era finita la storia tra lei ed il marito. Ella, sempre bella e splendente, mi disse che aveva messo ill marito davanti alle sue responsabilità e che questi le aveva confessato tutto subito assicurandole che la CIRCE l’aveva incontrata per caso una sera che con dei clienti si erano recati nel locale dove lei ballava per bere un bicchiere e che questa l’aveva abbordato e stregato tanto che era diventato un’ebete senza più alcuna volontà. La ringraziava per averlo scoperto , implorava comprensione e la pregava di non rovinare la loro famiglia per quello che ,alla fine, poteva essere trattato alla strega di uno che si era preso un caffè al bar. Precisava che il marito si era ripreso la saettante vettura che ora lei teneva in garage quale monumento e monito per il futuro. Dal marito aveva saputo che la Circe, relativamente alle ammaccature, gli aveva detto che era stata lei ad andare a cozzare contro altra auto e che per non pagare l’aumento della assicurazione era scappata via e di conseguenza gli aveva chiesto altre TREMILA Euro per farla riparare. Ogni strada è buona per fare soldi. MORALE DELLA FAVOLA TUTTO È BENE QUEL CHE FINISCE BENE; Ma se la moglie non fosse intervenuta per accertare i fatti e porre il marito davanti alle sue responsabilità, come sarebbe potuta andare a fine la storia? CONTO CORRENTE PROSCIUGATO. DITTA IN FALLIMENTO, FAMIGLIA ROVINATA: MEDITATE GENTE, MEDITATE;